Emirati Arabi Uniti

Sotto il turbinio delle pale dell’elicottero Aérospatiale Gazelle il deserto ribolliva in una maligna tempesta di sabbia che rincorreva il velivolo come un’ombra instancabile. L’elicottero militare volava a non più di quindici metri di altezza e il pilota era completamente concentrato a evitare che il mezzo si schiantasse al suolo lasciando la complicata navigazione nelle mani del copilota seduto alla sua destra.

Il sole si era già alzato sull’orizzonte, ma nel cielo blu cobalto si potevano ancora distinguere le stelle più luminose. La terra, in basso, era una distesa uniforme e scura di sabbia e pietre. La visuale era interrotta solo sul lato destro: a cinquanta miglia di distanza si stagliavano nella notte le montagne di Hajar che come mura frastagliate proteggevano il Golfo Arabo dalla pressione eterna del vuoto del deserto.

Il colonnello Wayne Bigelow si accese una sigaretta e guardò l’altro passeggero con affetto paterno. Aveva contribuito in modo sostanziale per trasformare quel giovanotto imberbe in un uomo raffinato. Bigelow si era diplomato all’Accademia Militare di Sandhurst e aveva servito e vissuto in Medio Oriente per buona parte della sua vita, prima in qualità di membro delle forze di occupazione britanniche e poi come consulente militare del principe ereditario degli Emirati. Una posizione più onoraria che funzionale. All’anziano sovrano piaceva avere intorno Bigelow per sentirgli raccontare le sue storie di guerra e sosteneva che probabilmente Bigelow era vivo anche nell’epoca in cui Lawrence d’Arabia cavalcava insieme al principe Faysal contro i Turchi. In effetti quel periodo gli si addiceva. Bigelow non aveva mai ribattuto.

Seduto al suo fianco nell’elicottero alleggerito di ogni peso superfluo stava Khalid Khuddari, anche lui un uomo d’altri tempi e tuttavia perfettamente a suo agio nell’epoca attuale. Bigelow sapeva bene quanto fosse insolito il percorso che aveva portato Khuddari a occupare la sua attuale posizione, visto che non era di sangue reale. Segretamente il principe ereditario aveva confidato a Bigelow che amava quel ragazzo più dei suoi stessi figli, tre dei quali vivevano in Europa con donne che sembravano nutrirsi di denaro contante.

Bigelow era presente quando il padre di Khalid era venuto dal deserto con suo figlio e aveva ricordato al principe della sua promessa di occuparsi del ragazzo in cambio del giuramento di fedeltà dei beduini. Il principe, un uomo di parola, aveva accolto il giovane Khalid nella sua casa e Bigelow aveva avuto la fortuna di diventare uno dei suoi tutori, un compito che svolgeva con piacere perché il ragazzo era intelligente e zelante. Quando guardava l’uomo che Khalid era diventato, venticinque anni dopo, sentiva di potersi concedere una punta di orgoglio. Scapolo da sempre, Bigelow vedeva in Khalid il figlio che avrebbe voluto avere.

“Non essere così serio. La parte più difficile è finita” gridò Bigelow per farsi sentire nel frastuono del motore turbogas che rombava sopra le loro teste. Parlava un arabo perfetto.

Non riuscì a strappare Khalid dal suo pessimo umore. “Io invece temo che la parte più difficile debba ancora incominciare.”

“Se il principe scopre cosa stiamo facendo, ci dovremo preoccupare di qualcosa di più che della difficoltà del lavoro da fare” puntualizzò Bigelow.

L’elicottero era entrato nello spazio aereo di Ajman senza autorizzazione. I sette sceiccati che componevano gli Emirati Arabi Uniti erano considerati un unico paese dalla comunità internazionale, ma tra loro conservavano una forte sovranità sulle rispettive zone del deserto. Volando su Ajman, Bigelow e Khuddari stavano in effetti attraversando dei confini nazionali senza preavviso. Un’azione che avrebbe potuto facilmente essere classificata come invasione.

“Dimmi come l’hai scoperto.”

Bigelow si avvicinò al giovane in modo che potessero parlare con un tono di voce normale. Khuddari aveva a disposizione un elicottero governativo, con la cabina isolata acusticamente, comoda e silenziosa come un’auto di lusso, ma avevano deciso di usare il Gazelle perché era più adatto a viaggiare nel deserto.

“Niente di particolare. Sono stato informato di un gran viavai di elicotteri, soprattutto di notte, evidentemente dovuto al fatto che non ci sono strade che arrivino così lontano dalla città di Ajman e i rifornimenti dovevano essere trasportati per via aerea. Avevo un uomo all’aeroporto che li guardava andare avanti e indietro dal crepuscolo all’alba. Siccome non potevamo metterci a seguire uno di quegli elicotteri senza essere scoperti, mi sono fatto restituire un vecchio favore. Nel 1964 ho passato quattro mesi con un funzionario dell’aeronautica militare a Cipro durante le operazioni di pace. Gli ho salvato la vita quando ci fu l’attentato del nove agosto. Insomma, ieri sera l’ho chiamato proprio prima che un altro degli elicotteri di Rufti volasse verso il deserto. Lui ha fatto fare una deviazione a uno degli aerei radar AWACS che i sauditi avevano acquistato dagli americani e che pattugliano l’Iraq, per fargli dare un’occhiatina.”

“E…?”

“Le coordinate che ci ha dato erano giuste. La nostra squadra di assalto ha individuato il campo quattro ore fa. Facile come trovare la passera tra le cosce di una puttana.”

“E cos’hai scoperto?” chiese Khalid ansioso.

Il telefono interno squittì e il pilota interruppe la loro conversazione: “Arrivo previsto tra due minuti.”

“Aspetta e vedrai.” Bigelow si accarezzò i baffi e si rimise comodo sul sedile.

L’elicottero rombò sopra una bassa duna, con i pattini che quasi fendevano la sabbia. Davanti a loro, nel deserto, c’era luce a sufficienza per distinguere le rovine fumanti a qualche miglio di distanza. Il suolo era annerito dal fuoco, che aveva lasciato un piccolo cerchio di cenere sulla sabbia bianca. Sottili colonne di fumo si levavano ancora verso il cielo abbagliante.

Seguendo i movimenti del braccio di uno dei soldati di Bigelow che indicava uno spiazzo libero per atterrare, l’elicottero si posò sul terreno a poche centinaia di metri dal campo. Khuddari e Bigelow saltarono fuori con agilità, abbassandosi per evitare il vortice dei rotori. Entrambi indossavano tute mimetiche da deserto, ma solo Bigelow era armato e teneva un pesante revolver Webley Mark VI appeso alla vita robusta. Il calore stava aumentando. Si avviarono verso il campo e quando furono a metà strada la fronte arrossata di Bigelow era coperta di gocce di sudore, ma lui continuava a camminare agilmente sulla sabbia soffice tenendo il passo dell’agile falcata di Khalid.

Il campo si trovava in una conca naturale del deserto, una depressione circolare attorniata da dune che sembravano le mura di cinta di un castello di sabbia. Il centro del campo era allestito per allenamenti e parate; era circondato dai resti di decine di tende, con i paletti bruciati ancora in piedi, come le costole di qualche animale preistorico. Sullo spiazzo delle parate c’erano i resti di impalcature in metallo, annerite dal fuoco. Era ovvio che in origine erano state messe là per un motivo ben preciso, ma ora sembravano i rimasugli di una scatola di costruzioni lasciate lì da un bambino viziato. Le due Toyota Land Cruisers mimetizzate degli uomini di Bigelow erano parcheggiate sul bordo del campo con gli autisti di guardia dietro le mitragliatrici calibro cinquanta montate sul tetto.

“Come ha fatto a saperlo?” Sibilò Khuddari, con gli occhi neri che contemplavano la desolazione del campo. “Come cazzo ha fatto quel bastardo a saperlo?”

“Quegli ultimi elicotteri non servivano per il rifornimento della base. Stavano già squagliandosela e il mio agente era troppo lontano per accorgersi della differenza. Direi che da quel che vediamo il campo è stato incendiato ieri sera.” Era evidente che Bigelow odiava l’idea di ammettere che erano arrivati troppo tardi, ma i rimpianti non sarebbero comunque serviti a niente. “E comunque per smantellare un campo del genere devono aver iniziato a smontare qualche giorno prima che tu parlassi con Rufti.”

“Per Allah, scommetto che sapeva che gli stavo già alle costole. I tuoi uomini hanno trovato niente che ci dica cosa stava facendo?”

“Ancora niente.” Bigelow diede un calcio a un mucchietto di tela bruciata. “Ma le impalcature mi ricordano gli addestramenti del SAS, Special Air Service. Usavamo queste strutture per simulare gli edifici, rivestendoli con dei tessuti nei quali venivano tagliati dei buchi rettangolari a mo’ di finestre. Era un sistema semplice e poco costoso per prepararsi ad azioni urbane di anti-terrorismo. Mi gioco la pensione che gli uomini di Rufti stavano facendo la stessa cosa.”

Khuddari annuì e osservò attentamente le strutture. Non era in grado di riconoscervi un angolo di strada o un parcheggio a lui noti. Rivolse a Bigelow uno sguardo interrogativo, ma questi si strinse nelle spalle.

“Per quello che so, potrebbe essere l’angolo della strada di Manchester in cui sono cresciuto.” Bigelow sputò nella sabbia.

“Rufti non ha la capacità di immaginare qualcosa che sia al di fuori degli Emirati. Deve essere una strada di Abu Dhabi City, ma non mi sembra ci siano elementi per capire quale.”

“Cosa facciamo?”

Prima che Khuddari rispondesse, uno dei soldati di Bigelow li chiamò. Era inginocchiato sulla destra dello spiazzo per le parate, lontano dal gruppo di tende. Da lontano si vedevano i denti bianchissimi risaltare mentre sorrideva sotto i folti baffi neri. Bigelow e Khuddari gli furono accanto in un baleno, chinandosi per vedere cosa avesse trovato nella sabbia.

Bigelow raccolse l’oggetto e lo esaminò con l’attenzione di un gioielliere che esamina un diamante per decidere come tagliarlo.

“Un bossolo Parabellum da nove millimetri” disse subito.

“C’è stampigliata la scritta FIO, che significa che è stato prodotto dalla Fiocchi, in Italia. L’innesco si è schiacciato al momento dello sparo, quindi possiamo ipotizzare che sia stato caricato al massimo. A giudicare dalla profondità del sigillante all’interno del bossolo, direi che è stato caricato con proiettili da 124 grani e polvere AA7 Winchester, nove grani direi, vista la distorsione.”

“Riesci a capire da che tipo di arma è stato sparato?”

“Non senza degli esami di laboratorio e un paio di settimane di tempo. Potrebbe essere stata qualsiasi arma, da una Luger a una Uzi.” Bigelow infilò la cartuccia nel taschino dei pantaloni militari. “Posso dirti che è stato sparato almeno due settimane fa, perché non c’è traccia di odore di cordite. Cristo, questa pallottola di merda potrebbe essere qui dalla seconda guerra mondiale.”

“Magari.” Khuddari si voltò e si diresse verso l’elicottero e Bigelow lo seguì prontamente. “Di’ ai tuoi di rientrare. Siamo stati qui a sufficienza. Non credo ci sia molto altro da scoprire.”

Bigelow emise un fischio acuto, e immediatamente il sergente Maggiore confermò di aver ricevuto l’ordine di ritirarsi chiamando i suoi uomini. Le truppe si avviarono verso i due veicoli con le armi pronte al fuoco, una ritirata tattica eseguita alla perfezione. Gli uomini di Bigelow erano ben addestrati e molto disciplinati, proprio come colui che li aveva istruiti.

Quando si avvicinarono all’elicottero, il rotore del Gazelle stava già girando a bassi giri da un po’ e le turbine stavano aumentando i giri con un sibilo che spaccava i timpani. I due uomini si infilarono in cabina e si allacciarono le cinture. Dopo qualche istante di pausa l’elicottero si alzò in volo. La spinta del rotore verso il basso sollevò una nuvola di polvere che cancellò ogni traccia del suo atterraggio. Per tutto il viaggio di ritorno Kuddhari e Bigelow rimasero zitti, ognuno rispettoso del silenzio dell’altro. Fu solo quando rientrarono nello spazio di Abu Dhabi che il giovane parlò.

“Rufti è partito per Londra stamattina per andare a fare l’osservatore agli incontri dell’OPEC che inizieranno tra due giorni. È chiaro che i suoi uomini hanno completato l’addestramento per l’azione che hanno in mente, quindi sono sicuro che non tarderanno a colpire. Rufti è talmente senza palle che farà in modo di non trovarsi nei paraggi quando cominceranno a volare i proiettili.”

“Quindi sei convinto che abbiano in programma un qualche attentato?”

“È ovvio, solo che non sappiamo qual è il loro obiettivo. Ho udienza con il principe oggi pomeriggio e intendo raccontargli tutto quello che abbiamo scoperto. E gli dirò anche che non ho intenzione di presenziare ai meeting in Inghilterra.”

“Credi che sia una buona idea? La tua assenza non farebbe fare bella figura al resto della famiglia. Si tratta del primo incontro del cartello da quando sei diventato Ministro del petrolio.”

“Non me ne frega un cazzo” scattò Khuddari, “questa faccenda è molto più importante della mia carriera. Non posso permettermi di ritrovarmi chiuso in qualche sala conferenze quando Rufti colpirà. Avrei dovuto uccidere quel maiale quando se n’era presentata l’occasione.”

“Lo fottiamo, vedrai. Hai la mia parola.”

La città di Abu Dhabi City era sotto di loro. Solo una ventina di edifici avevano più di venticinque anni; mano a mano che il paese si faceva strada verso il ventunesimo secolo, il calcestruzzo precompresso e i vetri oscurati avevano preso il posto dell’architettura tradizionale in pietra. Non molto tempo prima in quegli stessi luoghi gli uomini erano pronti a uccidersi per il furto di una capra o per l’insulto a un familiare e quella brutalità rimaneva una caratteristica dei popoli del Golfo. Ma ora, con i petroldollari che alzavano sempre di più la posta in gioco, per risolvere una qualsiasi controversia non sarebbe bastata la morte di una persona, ce ne sarebbero volute centinaia o anche migliaia. Rufti stava agendo per destabilizzare la confederazione degli Emirati, già piuttosto traballante. Aveva investito parecchi soldi e molta energia nel suo progetto e qualunque fosse il suo obiettivo, Khuddari sapeva che se riusciva nel suo intento gli Emirati non sarebbero più stati un unico paese.

Il petrolio era stato la salvezza della nazione, ma forse il pompaggio ritmico e senza sosta dei pozzi sparsi in tutto il territorio stava suonando la campana a morto del paese. I soldi che continuavano a entrare nelle tasche dei membri dell’élite degli Emirati non riuscivano a far evolvere la loro mentalità così rigida, ma anzi offrivano loro occasioni per metterla in pratica.

L’avidità di Rufti avrebbe facilmente potuto recidere l’arteria vitale del petrolio che permetteva agli Emirati di esistere.

Khuddari doveva ammettere che se Rufti stava pianificando un golpe, non avrebbe potuto scegliere un momento più propizio. Il principe era in disaccordo con quasi tutto il Consiglio Federale Supremo, composto dai sei regnanti degli altri Emirati, e con il Consiglio dei Ministri, il detentore del potere legislativo. Gli scismi traevano origine dall’annuncio degli americani che nell’arco di dieci anni avrebbero chiuso le importazioni di petrolio. La decisione avrebbe potuto azzoppare la struttura di potere degli Emirati basata sul denaro e indebolire la posizione del principe, cosicché un golpe sarebbe stato visto come un atto provvidenziale e non come una nuda aggressione. Il clima politico era maturo per un cambiamento che consentisse di affrontare quel futuro nuovo e incerto, e Rufti era nella posizione ideale per approfittarne. Khalid sperava che questa labile teoria bastasse a convincere il principe ereditario che lui e il paese erano in pericolo, ma per quanto Khuddari risultasse credibile agli occhi del sovrano, il bossolo di un proiettile e un sincero sospetto non erano un granché. Temeva che il suo appello sarebbe rimasto inascoltato.

Sporse la testa per guardare la città sottostante attraverso il finestrino. Lungo la costa, l’acqua del Golfo assumeva un colore acquamarina iridescente: una sfumatura così sgargiante da essere più adatta a un’insegna luminosa che a un elemento naturale. E siccome l’acqua era profonda solo una quindicina di metri e misurava quasi trentasette gradi, quel mare non era particolarmente brulicante di vita. Una superpetroliera vuota stava navigando proprio nel punto in cui il Golfo si faceva più scuro e profondo, con il ponte superiore verniciato di un orrendo color ruggine in tinta con i sei metri di pancia visibili al di sotto del bordo libero. Da quella distanza Khalid non riusciva a leggerne il nome sulla poppa, ma dal traffico di barche più piccole che si muovevano attorno a quel colosso galleggiante era evidente che aveva bisogno di riparazioni.

Distolse lo sguardo, chiedendosi come mai la nave non fosse nei nuovi cantieri navali di Port Rashid vicino a Dubai City. Ma il Gazelle stava per atterrare e Khalid abbandonò il pensiero della petroliera.